Intervista a Domenico Amicuzi, esperto di espansione immobiliare e asset management, che racconta come la grande distribuzione può diventare motore di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile
Negli ultimi anni, la rigenerazione urbana si è affermata come una delle direttrici principali della trasformazione del tessuto economico e sociale italiano. Complice un patrimonio edilizio sempre più obsoleto, la necessità di ridurre il consumo di suolo e le nuove linee guida europee in tema di sostenibilità ambientale e inclusione sociale, il concetto di “rigenerazione” ha progressivamente sostituito quello, ormai anacronistico, di mero “sviluppo immobiliare”.
Dalle periferie metropolitane alle aree industriali dismesse, dai centri storici in declino alle aree commerciali di seconda generazione, il territorio italiano rappresenta oggi un vero e proprio laboratorio a cielo aperto per modelli di sviluppo real estate fondati sul recupero, la rifunzionalizzazione e l’ibridazione degli usi.
Se un tempo la Grande Distribuzione Organizzata era percepita unicamente come motore commerciale, oggi sempre più operatori del settore riconoscono a questo comparto un’influenza crescente sulla riqualificazione urbana e sulla vivibilità dei territori. Supermercati e mega store no food non rappresentano più solo spazi di consumo, ma diventano presidi di prossimità, infrastrutture sociali, catalizzatori di mobilità sostenibile. Inseriti in progetti di rigenerazione più ampi, talvolta in ex aree industriali talvolta in lotti urbani sottoutilizzati, i format della GDO stanno ridefinendo la fisionomia di interi quartieri, contribuendo a restituire funzioni, servizi e sicurezza a contesti precedentemente marginalizzati.
A fronte di un mercato immobiliare che premia la localizzazione strategica, l’efficienza energetica e l’accessibilità, la GDO si conferma dunque non solo utilizzatore finale, ma partner progettuale in grado di dare concretezza ai programmi di recupero urbano. La capacità di generare flussi costanti, attrarre investimenti e rispondere ai bisogni quotidiani dei cittadini rende questi operatori centrali nei processi di valorizzazione immobiliare e rigenerazione economico-sociale.
Per approfondire l’argomento, intervistiamo Domenico Amicuzi asset manager e responsabile espansione immobiliare, con una formazione specialistica in real estate management. Ha maturato un’esperienza articolata che spazia dalla valutazione degli investimenti immobiliari alla gestione di portafogli composti dalle principali asset class, integrando nella sua attività un interesse crescente per i temi ESG focalizzata in particolare sulla sostenibilità ambientale e l’impatto sociale del settore immobiliare.
Amicuzi in che modo la Grande Distribuzione Organizzata può contribuire alla rigenerazione urbana delle città italiane?
“Negli ultimi anni, la GDO ha assunto un ruolo sempre più attivo nella trasformazione urbana, non solo come operatore economico ma anche come attore sociale e infrastrutturale. Inserire punti vendita in aree dismesse o sottoutilizzate consente non solo di riqualificare spazi abbandonati, ma anche di riattivare dinamiche economiche e relazionali che altrimenti rimarrebbero sopite. Un supermercato di quartiere, ad esempio, può diventare un presidio di prossimità, generare nuova occupazione e incentivare la frequentazione di zone precedentemente marginalizzate. In questo senso, la Grande Distribuzione Organizzata può rappresentare un vero e proprio catalizzatore di rigenerazione urbana, purché inserita in una visione progettuale più ampia e coerente con le specificità del contesto urbano.”
Quali sono gli elementi fondamentali da considerare in un progetto di riqualificazione a uso commerciale?
“Prima di tutto, l’inserimento funzionale nel tessuto urbano esistente: un punto vendita non può essere un elemento isolato, ma deve dialogare con la viabilità, i servizi pubblici e le esigenze della popolazione residente. È fondamentale che il progetto tenga conto di aspetti come l’accessibilità pedonale, la mobilità sostenibile, la presenza di spazi pubblici e la qualità architettonica dell’intervento. Inoltre, bisogna valutare con attenzione l’impatto economico e sociale: ogni intervento commerciale ha il potenziale di generare valore diffuso, ma solo se è calibrato sulle reali caratteristiche del territorio. Quando queste condizioni sono rispettate, la GDO non è solo una destinazione per l’acquisto, ma un’infrastruttura urbana che contribuisce a ridisegnare la vivibilità di intere città.”
In quali contesti, secondo lei, la rigenerazione ha le maggiori possibilità di generare impatto reale?
“Spesso nelle aree intermedie, quelle né centrali né completamente periferiche, dove esiste una trama urbana che ha solo bisogno di essere riattivata. Lì, anche un singolo intervento ben progettato può fare da innesco per un processo più ampio di riqualificazione. Il focus è intercettare quei punti di rottura e trasformarli in occasioni di rilancio per tutto il contesto circostante.”
Come si integra la sostenibilità ambientale e sociale nei progetti di espansione immobiliare in ambito retail?
“Oggi non è più pensabile progettare o realizzare nuovi punti vendita senza considerare in modo strutturale la sostenibilità, sia ambientale che sociale. Dal punto di vista ambientale, sempre più progetti si orientano verso certificazioni volontarie – come BREEAM o LEED – che attestano il rispetto di standard elevati in termini di consumo energetico, materiali impiegati, gestione delle risorse idriche e riduzione dell’impatto ambientale complessivo. Anche l’integrazione di sistemi di mobilità sostenibile, come colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, parcheggi bici, connessioni pedonali sicure e percorsi ciclabili, rappresenta un elemento sempre più centrale nell’approccio progettuale” continua Amicuzi “Accanto alla sostenibilità ambientale, però, è fondamentale considerare anche quella sociale, che spesso è meno visibile ma altrettanto rilevante. Parliamo, ad esempio, del coinvolgimento delle comunità locali nella fase progettuale, dell’ascolto delle esigenze dei residenti, della creazione di spazi pubblici accessibili e multifunzionali all’interno o intorno ai nuovi punti vendita. In questo modo il retail non si limita a offrire un servizio commerciale, ma contribuisce a rafforzare il senso di appartenenza e a generare valore condiviso. Nei territori in cui si opera, il riscontro più positivo arriva proprio quando il punto vendita viene percepito non come elemento di consumo, ma come parte attiva della vita quotidiana e sociale del quartiere.”
Quali sono le principali tendenze che vede emergere nel settore immobiliare retail nei prossimi 5-10 anni?
“Il settore sta attraversando una fase di profonda trasformazione, che nei prossimi anni sarà guidata da due direttrici principali: la flessibilità dei format e la vicinanza al consumatore. I modelli commerciali tradizionali, monofunzionali e spesso periferici, stanno lasciando spazio a format ibridi, più agili e integrati con il contesto urbano. Penso in particolare ai progetti mixed-use, dove la componente retail si combina con uffici, spazi residenziali, aree verdi e servizi collettivi. Questa evoluzione è una risposta alla crescente richiesta di luoghi multifunzionali e vissuti durante tutto l’arco della giornata. Parallelamente, cresce l’attenzione verso il proximity retail, cioè punti vendita di dimensioni contenute inseriti in contesti residenziali e urbani, facilmente accessibili a piedi o in bici. Questo trend risponde all’esigenza di maggiore sostenibilità nei comportamenti di consumo, ma anche al desiderio delle persone di ritrovare una dimensione più umana, quotidiana e relazionale nell’esperienza d’acquisto. Il punto vendita del futuro, insomma, non sarà più solo un luogo dove acquistare, ma uno spazio connesso al territorio, capace di generare valore anche in termini di vivibilità urbana e coesione sociale.”
L’evoluzione del settore retail dunque si intreccia oggi con sfide complesse e opportunità inedite: dalla rigenerazione urbana alla sostenibilità, dal ripensamento dei format commerciali alla valorizzazione delle comunità locali. In questo scenario, emerge la necessità di una visione strategica che sappia coniugare capacità di investimento, ascolto del territorio e responsabilità sociale.
A sintetizzare questa prospettiva è lo stesso Domenico Amicuzi, che chiude l’intervista con una riflessione che guarda al futuro del settore con consapevolezza e impegno:
«Il retail che genera valore non si limita a vendere, ma costruisce relazioni durature con il territorio. È questa la direzione verso cui dobbiamo andare: progetti che non solo funzionano sul piano economico, ma che lasciano un segno positivo anche nei luoghi e nelle persone.”